LA VILLA E LA SUA STORIA
I Rufolo hanno rappresentato per oltre due secoli il simbolo della potenza economica e politica della Ravello medievale, per poi decadere nel breve volgere del trentennio che va dalla metà del XIII sec. al 1285, quando furono completamente rovinati per essersi schierati contro gli Angioini al tempo dei Vespri siciliani.
All’inizio del periodo aureo della loro famiglia essi costruirono la “casa”, rappresentativa del loro status sociale, che doveva essere grandiosa, principesca e ricca. Fondendo le tipologie architettoniche e decorative arabe e bizantine con elementi della cultura locale, essi trovarono il linguaggio adatto ad esprimere la loro potenza.
Durante il periodo più fervido, è probabile che il Boccaccio abbia conosciuto direttamente i Rufolo e abbia soggiornato presso la loro dimora; è verosimile che “il palagio con bello e gran cortile nel mezzo e con logge e sale e con giardini meravigliosi” sia stato proprio il giardino di Villa Rufolo, mentre è diretto il riferimento alla famiglia nella famosa novella dedicata a Landolfo Rufolo.
La vita nella Ravello medievale segue il declino di quella della costa legata alla decadenza della Repubblica Amalfitana, e la famiglia Rufolo, caduta in rovina fu costretta a smembrare le proprietà. La villa passa per diritto di successione ai Confalone e ai Muscettola e successivamente ai D’Afflitto di Scala nel XVIII sec. Questi ultimi fecero un grande sforzo per rendere il palazzo abitabile ma la distruzione di molti elementi di valore e pregio causarono la rovina di gran parte della residenza.
A metà dell’Ottocento il palazzo si presentava come rovina e solo in parte conservava l’aspetto originario che aveva subito manomissioni dopo il tramonto della celebre discendenza. Un Lord scozzese, Sir Francis Nevile Reid, decise nonostante l’inagibilità della dimora, di acquistarla. Quest’uomo di grande cultura fece restaurare l’edificio e risistemò le terrazze a giardino, realizzando il capolavoro che fece esclamare a Wagner: “Il magico giardino di Klingsor è trovato”.
Reid chiude un periodo felice della storia della villa. Con la sua morte ancora una volta la villa viene smembrata dagli eredi e le suppellettili vendute. Nel 1974 viene acquistata dall’ EPT di Salerno la consistenza privata non ancora annessa al demanio pubblico.
L’EPT gestisce la villa fino al 2007, anno in cui la gestione viene affidata alla Fondazione Ravello che avvia una serie di iniziative volte al recupero, alla valorizzazione e alla tutela del monumento.
Durante il periodo di gestione EPT, il Centro Europeo per i Beni Culturali (CUEBC, che ha sede all’interno della villa) assieme alla Soprintendenza ha dato vita ad una serie di campagne di scavo e restauri (1988 – 1999): dalla zona della Balnea a quella del Teatro passando per il Chiostro moresco, la villa è stata indagata in lungo e largo durante questi anni. Questa campagna di studi e ricerche mette in luce, ad ovest del Chiostro, una serie di ambienti rovinati crollati probabilmente nei primi anni del Cinquecento, e la Balnea ad est dei giardini. Tutti gli interventi realizzati in questo periodo non sembrano avere un filo conduttore predeterminato, ma, soprattutto, non sono finalizzati alla realizzazione di un progetto di rilancio dell’intero complesso.
Gli scavi in Villa, condotti dal Paolo Peduto in collaborazione con la Dr.ssa Matilde Romito e François Widemann, hanno restituito circa 100.000 frammenti di ceramica tra cui si annoverano circa 5.000 invetriate dipinte e circa 1.000 protomaioliche, cronologicamente collocabili tra il XIII ed il XIV secolo. Di probabile produzione locale o comunque provenienti dall’area campana, produzioni di importazione (dalla Puglia alla Sicilia) peninsulari e dal Mediterraneo. Il ritrovamento di una copiosa quantità anche di frammenti ceramici di epoca romana, collocabili tra il I sec. a.C. e il V sec. d.C., oltre che confermare l’opulenza dei Rufolo che consentiva loro di importare pezzi pregiati di “archeologia d’epoca”, potrebbero testimoniare una frequentazione del sito anche in epoca precedente all’impianto medievale. Gli scavi effettuati hanno restituito un quadro generale dei reperti coerenti con la storia dell’area e quella dei suoi contatti e commerci con l’oriente.
I ritrovamenti archeologici manifestano senza alcun dubbio la ricchezza dei mercanti costieri e le influenze legate ai commerci con l’Oriente, la risultante è l’arabeggiante architettura raffinata e lussuosa che ammiriamo, totalmente distante dalle “novità” dell’architettura gotica d’Oltralpe. Nelle suppellettili questo orientamento appare ancora più evidente per la presenza di numerosa ceramica proveniente dal Nord Africa e dalla regioni islamizzate.
L’apporto di questi interventi è stato fondamentale per la lettura archeologica, storica e artistica del monumento, ma sono rimaste senza risposte alcune domande legate alla lettura del monumento stesso: che destinazione d’uso avevano gli ambienti? Quale era la loro funzione? Esistevano altri chiostri? Qual’era l’estensione della villa? Prima della “Villa Rufolo” cosa c’era nell’area?
Nel 2012 la Fondazione Ravello, nell’ambito delle iniziative volte alla tutela e alla valorizzazione del Complesso Monumentale di Villa Rufolo, ha avviato lavori per la realizzazione del progetto denominato “Lavori di fertirrigazione, impianto di illuminazione, valorizzazione e restauro del complesso monumentale di VILLA RUFOLO”, che hanno interessato il rifacimento degli impianti di illuminazione e di fertirrigazione del giardino ed il restauro dell’ambiente di Villa Rufolo denominato “Teatro”.
La prima area interessata dalle indagini archeologiche ha un’estensione di circa 168 mq ed è situata al livello inferiore del Complesso di Villa Rufolo nel Comune di Ravello. La zona è denominata “Teatro”, probabilmente per la destinazione d’uso assegnatale dopo i più recenti lavori di restauro. La struttura è ascrivibile all’ XI-XII secolo, e cioè alla fase originaria di costruzione del complesso; alla stessa fase possono essere ascritte anche la torre d’ingresso, il donjon o torre maggiore, i balnea, la cappella e il chiostro moresco. La zona denominata “Teatro”, ha avuto un notevole interesse archeologico da diversi decenni; essa è venuta alla luce in seguito a scavi sistematici (indagini archeologiche 1988-89, 1995 -1998) legati al restauro dell’area nel 1995 sotto la direzione scientifica del Prof. Peduto.
Il lato meridionale degli ambienti confina con una grande cisterna che tutt’oggi funziona come polmone centrale per la raccolta e la distribuzione dell’acqua piovana, in un sistema idrico della Villa abbastanza complesso che merita sicuramente uno studio approfondito; quello orientale costituisce uno dei quattro muri perimetrali del chiostro moresco, il lato occidentale è confinante con un giardino coltivato a limoneto e non visitabile, mentre quello settentrionale è costituito da un muro cieco contro terra.
Il tutto è meglio individuato e contraddistinto in catasto terreni di Ravello al Foglio 6 particella n. 865, di proprietà demaniale, nonché, nella classificazione IGM, all’interno del Foglio 6 III S.E. Tutta l’area investigata è attualmente su un unico livello e ha una quota media sul livello del mare di ca. 351 mt.
L’ area, in seguito all’abbandono ed al degrado (XV – XVII secolo), è stata interessata da crolli delle coperture delle volte, cui ha fatto seguito l’interramento dell’intero volume con utilizzo dei muri perimetrali come contenitori di un terrapieno coltivato a giardino; recenti scavi condotti alla fine del secolo scorso, hanno riportato in luce l’intero volume ed hanno permesso la ricostruzione delle volte crollate; gli ambienti così ricavati, battezzati “teatro”, presentavano consistenti fenomeni di umidità, sia per infiltrazione laterale e dall’alto, che per risalita dal battuto di calpestio poggiato direttamente sul terrapieno.
Nonostante la limitatezza dell’area di indagine, grazie ai rinvenimenti e alla loro lettura strutturale e stratigrafica, è possibile ricavare dati di notevole rilevanza, nonché operare una ricostruzione cronologica dell’attività antropica e dei fenomeni naturali succedutisi nell’area. Lo scavo stratigrafico ha consentito di acquisire dati importanti anche sulla storia dell’edificio: dati che ci confermano, come già emerso dalla ricerca d’archivio condotta parallelamente alle indagini archeologiche, che la struttura del Teatro non ha subito modifiche alle murature portanti durante gli ultimi lavori di scavo e restauro, avvenuti nel 1995 ad opera della Soprintendenza BAP.
Durante i lavori di svellimento del solaio piano di calpestio del teatro per la realizzazione di una camera d’aria di isolamento dal terreno, ci si è imbattuti in una struttura muraria affiorante. Lo scavo archeologico è stato, quindi, approfondito ed esteso all’intero manufatto, rilevandone un parallelepipedo a base rettangolare e orientamento E – O; esso è costruito, secondo la tecnica della muratura a sacco, con pietre vive di diverse dimensioni legate da malta cementizia di buona qualità. Il risultato di questa pratica costruttiva è una struttura muraria dotata di notevole solidità, monoliticità e resistenza statica, capace di dare adeguate risposte anche alle azioni sismiche. Tutte le facce interne dei muri presentano intonaco di tipo idraulico di colore bianco, anch’esso di buona qualità con la presenza all’interno dell’impasto di pomici, elementi quarzosi e mica. L’intonaco ha uno spessore di circa 3,5/4 cm. L’insieme di tutti gli elementi che caratterizzano il manufatto ci consentono di affermare che trattasi di una “cisterna di accumulo per le acque piovane”.
Le caratteristiche principali del rinvenimento possono essere così riassunte:
- Il volume rinvenuto è sicuramente una cisterna di raccolta per l’acqua;
- Orientamento del volume non in linea con la struttura del chiostro (i lati lunghi della cisterna intersecano il muro perimetrale est dell’ambiente non ortogonalmente, ma con un’angolazione di +/- 10° rispetto all’angolo retto;
- Il muro principale del “teatro” interseca la struttura, calandosi a pettine su di essa fino alla superficie di fondo, e inglobandola;
- Il lato lungo nord della cisterna è più largo (cm 90) del parallelo sud (cm 70);
- Il fondo della cisterna ha una pendenza orientata da est verso ovest e convergente verso il centro del lato corto ovest;
- L’estradosso del lato lungo nord è del tipo “armato contro terra”, il parallelo sud no;
- Il lato corto ovest presenta un incavo centrale classificabile come “bocca di prelievo per l’acqua”(la nicchia presenta tracce di logoramento, provocate probabilmente dal sistema di tiraggio dell’acqua, dalle quali affiorano laterizi sovrapposti utilizzati per realizzare la parte curva);
- La cisterna non presenta alcun foro sul fondo.
L’importanza della scoperta è ascrivibile, prima ancora che alle caratteristiche strutturali e architettoniche del manufatto, al suo posizionamento rispetto al complesso monumentale: l’allineamento della cisterna non in asse con quello del chiostro e del locale “teatro”, e la muratura di fondazione del chiostro che si cala a “pettine” sulle pareti lunghe della cisterna. Tali circostanze ci inducono a ritenere, come prima interpretazione importante, che la “cisterna” rinvenuta è preesistente alla costruzione della villa nella sua consistenza attuale, quindi, antecedente al XII secolo.
Altro elemento non trascurabile del manufatto rinvenuto, è il differente spessore delle due pareti lunghe della cisterna. Una spiegazione plausibile e verosimile potrebbe essere quella che la parete nord, quella più spessa, fosse stata sovradimensionata per sorreggere il terrapieno che la sormontava e si sviluppava verso nord. Un’interpretazione, quest’ultima, che giustifica anche il fatto che la parete in questione, verso l’esterno, è costruita “contro terra”.
Ulteriori elementi importanti della struttura sono: la pendenza del fondo verso la parete occidentale; la presenza su quest’ultimo lato di una parte centrale curva (sicuramente sullo sviluppo verticale verso l’alto era situata la bocca della cisterna); l’assenza del foro di fondo, in genere necessario per lo scarico totale dell’acqua per eseguire le operazioni di pulitura della cisterna.
Tutti questi elementi messi insieme ci inducono a ipotizzare che la cisterna doveva servire per l’accumulo di acqua ad uso domestico, in quanto le altre cisterne coeve disseminate nella zona, ed utilizzate per l’irrigazione, non presentano “bocche di prelievo”; la mancanza del foro di fondo testimonia che l’apporto solido nella cisterna era quasi nullo e, quindi, che l’adduzione dell’acqua doveva essere ben controllata e gestita per evitare il fenomeno di interramento (verosimilmente proveniente dalle volte di copertura di una struttura abitativa); se tali deduzioni dovessero essere confermate da ulteriori elementi da ricavare anche in futuro con saggi e studi mirati, potremmo affermare, in conclusione e sintesi, che: precedentemente all’attuale struttura monumentale della villa e, quindi, prima del XI- XII secolo, nella stessa area di sedime dell’attuale chiostro sorgeva una preesistenza abitativa.
Queste evidenze archeologiche, emerse nella prima fase dei lavori di scavo, hanno indotto a rivedere il progetto iniziale, e hanno suggerito l’adozione di una variante che prevedesse la copertura della cisterna rinvenuta con lastre di cristallo per consentire ai visitatori la lettura stratigrafica del complesso, e la creazione di una camera d’aria indipendente da quella principale per evitare fenomeni di condensa e ammuffimento.
Le risultanze finali delle attività svolte e alcune ipotesi interpretative delle evidenze archeologiche ritrovate, possono essere così sintetizzate: con la costruzione originaria del complesso, il chiostro moresco era chiuso solo su tre lati e aperto verso ovest, dove verosimilmente vi era un terrazzamento degradante verso S- SO. La cisterna rinvenuta era situata ai piedi del terrazzamento e creava il contrafforte di contenimento, inoltre forniva acqua per usi domestici all’abitazione evidentemente demolita per far posto al più sontuoso “Palazzo dei Rufolo” . La zona circostante aveva probabilmente una destinazione d’uso diversa. Con l’inizio della fase edificatoria principale ad opera dei Rufolo, tutta l’area subisce una profonda modificazione e le nuove strutture vengono fondate in gran parte su terreno vergine, ma in parte anche sulle preesistenti strutture, come nel caso della cisterna, inglobandole ed adattandosi a loro, verosimilmente con la logica di ottimizzare le fasi costruttive.
Le fonti bibliografiche consultate, delineano una struttura e delle fasi edificatorie che non sono del tutto coincidenti con quelle evidenziate da queste ultime e più recenti indagini.
Lo studio eseguito, lungi dall’essere esaustivo e complementare a quelli precedenti, apre ad una serie di interrogativi che meritano sicuramente degli approfondimenti: I Rufolo concepirono e costruirono la loro residenza totalmente ex novo? Ampliarono e ristrutturarono una preesistente casa? La rete di canali e cisterne, che è ancora oggi ben leggibile, fu impostata di sana pianta ex novo? Quanto durò la fase edificatoria che portò a realizzare “tante stanze per ciascun giorno dell’anno”? Cosa è avvenuto nei secoli (XIV – XVII?) di decadenza ?
Villa Rufolo: una storia da rileggere di Elettra Civale
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FOCUS
LA FAMIGLIA RUFOLO
Secondo la tradizione i Rufolo che, durante la seconda metà del XIII secolo, divennero una delle famiglie più importanti del Mezzogiorno, discendevano da Rutilio Rufo, politico del II secolo a. C. e primo a volere i Tributi militari creati nell’esercito Pretorio.
Le prime notizie concernenti i Rufolo a Ravello risalgono all’XI secolo. È un casato che aveva possedimenti nella parte settentrionale di Ravello e apparteneva a un medio status sociale, considerando che, nel 1150, Giovanni Rufolo salì sulla cattedra vescovile della città e ricoprì tale carica fino alla morte, avvenuta nel 1209. Probabilmente, durante questo mezzo secolo, ci fu un innalzamento della condizione sociale che portò, pochi anni dopo, al matrimonio tra Nicola Rufolo e una delle donne più potenti del Meridione, Sigilgaida della Marra. Questa era la sorella di Angelo I, tesoriere e Maestro Razionale del Regno di Federico II.
Durante la prima metà del XIII secolo, Nicola Rufolo diede vita a una grande attività architettonica, sia a Ravello, con la riedificazione in stile islamico-normanno di Palazzo Rufolo, sia a Giovinazzo (BA), con la realizzazione di una grande masseria fortificata, risalente appunto agli anni sessanta di quel secolo. In questa masseria, si produceva soprattutto olio, proveniente dagli estesi uliveti di Molfetta, Bitonto e della stessa Giovinazzo. Erano, quelli, anni di grande instabilità politica, in cui Manfredi, ultimo re svevo del Mezzogiorno, perdeva sempre più potere. Erano anni in cui Nicola Rufolo tralasciò in parte il commercio, per specializzare se stesso e soprattutto i propri figli nella gestione economica del Regno. Per realizzare questa attività, Nicola approfittò della posizione di primo piano occupata da Giozzolino della Marra, nipote di Sigilgaida e Maestro Razionale.
Con l’arrivo degli Angioini, dopo la Battaglia di Benevento del 1266, i Rufolo, per occupare una posizione di rilievo nell’economia del Regno, giurarono fedeltà ai nuovi conquistatori. Cambiarono l’araldo della casata, sia nei colori, in cui il blu sostituì il rosso, sia nella struttura, con l’adozione, nella parte superiore, dei tre gigli, simbolo del casato angioino. Matteo, figlio di Nicola, e il suo primogenito, Lorenzo, ricoprirono cariche importanti nel regno, affiancando i propri cugini della famiglia Della Marra. Durante questo periodo, vi fu una vera e propria attività di finanziamento della corona da parte di Nicola Rufolo e del figlio Matteo. Erano diventati banchieri della corona.
Dopo la guerra del Vespro (1282), il potere angioino versava in una considerevole crisi economica. Fu questa, con molta probabilità, la causa del processo organizzato contro le casate ravellesi dei Rufolo e dei Della Marra, con l’intento di impadronirsi di tutti i loro beni. E il piano riuscì. Il 17 giugno del 1283 segnò il primo passo del processo: alcuni membri delle famiglie Rufolo e Della Marra furono catturati in gran segreto, con i propri figli, e le loro terre furono confiscate. Cinque giorni dopo, il 22 giugno, il principe Carlo II espose le motivazioni che avevano portato a tale decisione: l’accusa fu di concussione, tradimento, delle più nere perversioni, esportazione di grano a danno della Corona, espressioni di favore per la guerra del Vespro. Matteo Rufolo fu accusato di avere una corrispondenza con la regina Costanza, figlia di Manfredi e moglie di Pietro III d’Aragona. Il documento sancì: la condanna a morte di Angelo e Galgano, entrambi figli di Giozzolino, nonché di Lorenzo Rufolo, primogenito di Matteo. Inoltre furono sanciti la tortura delle donne e dei bambini e l’esproprio dei beni mobili e immobili, tra cui navi, cavalli e armi. L’accusa più credibile sembra fosse, secondo Sthamer, l’aumento dell’onere fiscale che aveva ridotto in ginocchio la popolazione. Veniva condannata la politica finanziaria di Gizzolino, morto circa cinque anni prima. Non sono da escludersi il grande deficit della corona d’Angiò e le ingenti spese belliche da sostenere. Matteo Rufolo dovette pagare 16000 once d’oro (circa 500 grammi, corrispondenti al costo di ottanta navi armate) per uscire di prigione; Flamand de Comises, abate di San Vittore di Marsiglia, fu incaricato della confisca di tutti i beni in Campania, specialmente a Ravello. Dei personaggi che furono condannati a morte, il più importante pare fosse Lorenzo Rufolo. Nell’ottobre del 1282 questi è menzionato come Secreto e Maestro Portolano di Puglia e, successivamente, come Secreto di Sicilia. Fu decapitato nel 1283. È da lui che, probabilmente, prende spunto il Boccaccio per la novella di Landolfo Rufolo, procacciatore di mercanzie che, per raddoppiare il proprio patrimonio, investì tutti i suoi averi andando in rovina e diventando pirata. Qui, dopo un susseguirsi di vicende, il racconto si concluderà a lieto fine. Ma trattasi solo di una novella, che simboleggia la fortuna, quella che mancò al povero Lorenzo.
Dopo le condanne, i Rufolo non riuscirono più a riprendersi, così come Ravello. La loro decadenza fu voluta in primis dal principe Carlo di Salerno (futuro Carlo II d’Angiò), dal Papa, che appoggiava il potere angioino, e da alcune famiglie ravellesi, tra le quali i Frezza, che non vedevano di buon occhio il potere raggiunto dai Rufolo. Alcuni membri della famiglia Rufolo decisero, quindi, di trasferirsi a Napoli. Nel XV secolo la famiglia aveva perso tutto il suo potere e Peregrino Rufolo, quattordicesimo vescovo di Ravello, parlò di se stesso come ultimo della sua stirpe.
Da una ricerca di Alessio Amato
Sir Francis Nevile Reid visita per la prima volta Ravello a venticinque anni, nel 1851. Rapito dalla potenza intatta del piccolo borgo e dell’ambiente, acquista dai marchesi d’Afflitto la villa Rufolo abbandonata da secoli.
È l’atto di nascita moderno di una dimora che, grazie alla passione e alla generosità di Reid, si affermerà rapidamente come baricentro culturale della costa d’Amalfi, meta di pellegrinaggio del Grand Tour nella stagione romantica.
In piena sintonia di visione con la consorte Sophie Caroline Gibson Carmichael, il gentiluomo scozzese si avvale della competenza dell’architetto e archeologo Michele Ruggero, per completare il restauro della villa e la Torre maggiore.
Studioso e appassionato di botanica, sir Francis innesta nel giardino un gran numero di piante esotiche, soprattutto rose, fino a trasformare Villa Rufolo in una delle mete più ambite e celebrate della comunità internazionale delle personalità illustri: principi e regnanti, ingegni inquieti di ogni talento e provenienza, sono ospiti fissi nella dimora.
Fama botanica che viene coltivata con amore e assecondata dal giardiniere tuttofare Luigi Cicalese, amico fedele e custode generoso di questo autentico paradiso naturale.
Ma la lungimiranza della famiglia Reid non si esaurisce nella reinvenzione dell’antica fabbrica dei Rufolo. La strada comunale verso Gradillo e, soprattutto, il primo acquedotto della città, compresi oneri di addestramento e manutenzione quotidiana, così come l’educazione linguistica dei giovani ravellesi, sono ulteriori regali impagabili della passione e della generosità di questi autentici mecenati.