Dal 5 agosto al 16 settembre
Cappella di Villa Rufolo
GIULIO PAOLINI / RAVELLO
mostra a cura di Laura Valente e Gianluca Riccio
Orari di apertura: 11.00 -13.00; 17.00 – 20.00
Anteprima 4 agosto ore 19.00
Biglietto di ingesso alla Villa
Dopo le mostre di Pistoletto (2016), Clemente e Chia (2017), la sezione Danza/tendenze/nuovi Linguaggi e Mostre diretta da Laura Valente, presenta negli spazi di Villa Rufolo “Giulio Paolini/Ravello” a cura della stessa Valente e Gianluca Riccio.
Giulio Paolini, uno degli artisti italiani viventi più riconosciuti a livello internazionale, è annoverato tra i massimi rappresentanti di quell’intensa stagione di ricerca che iniziata al principio degli anni Sessanta giunse a definitiva consacrazione negli anni a cavallo del 1968. Annoverato tra i massimi esponenti dell’Arte Concettuale, Paolini nel 1967 entrò infatti a far parte del movimento dell’Arte Povera partecipando ad alcune delle principali mostre che segnarono l’affermazione a livello internazionale del movimento teorizzato da Germano Celant.
Il nucleo centrale delle opere esposte negli spazi di Villa Rufolo è formato dai bozzetti realizzati da Paolini in occasione delle collaborazioni con il Teatro San Carlo di Napoli per la progettazione delle scenografie di due opere di Richard Wagner, rispettivamente “La Valchiria” nel 2005 e “Parsifal” nel 2007, titoli protagonisti di quella felice stagione di intrecci tra pittura, scultura e lirica voluta da Gioacchino Lanza Tomasi, nominato sovrintendente nel 2001.
Il percorso espositivo, progettato dallo stesso artista genovese in collaborazione con i curatori, sarà arricchito dalla presenza di altri quattro bozzetti ispirati al mito di Narciso che rinviano alla cifra del doppio e del rispecchiamento – nonché all’impossibile o mancata corrispondenza tra le figure coinvolte – e di una grande scultura del 2017 dal titolo “Lohengrin (andata e ritorno)” in cui un manichino da sartoria si lascia trascinare da due cigni in plexiglas, orientati tra loro in senso contrapposto, attraverso nastri costruiti dall’intreccio di strisce ricavate da manifesti di mostre personali dell’artista. Secondo le leggende medievali del ciclo arturiano, Lohengrin, un cavaliere del Santo Graal, figlio di Parsifal, si fece guidare da un cigno per salvare una principessa in pericolo, che alla fine dovette abbandonare. Il manichino riverso a terra e l’orientamento testa-coda dei cigni alludono al viaggio senza approdo del protagonista (alter ego dell’autore), che orientato verso una meta ideale si ritrova naufrago, senza però rinnegare la sua vocazione originaria.
La mostra si conclude con una selezione di fotografie di Luciano Romano realizzate in occasione dei due allestimenti wagneriani al San Carlo di Napoli che documentano l’intenso lavoro di Paolini in veste di scenografo e la profonda connessione della ricerca dell’artista genovese con il teatro e con l’opera di Wagner in particolare, che per ben due fa meritare all’artista l’Abbiati, l’Oscar italiano della lirica. Sembrerebbero a un primo sguardo due mondi lontani quello di Paolini e Wagner: l’impeto post-romantico del compositore tedesco e lo sguardo dell’italiano, così classico e concettuale in tutte le sue soluzioni. “Eppure sia Walküre che Parsifal sono riusciti, attraverso la leggerezza di una scena sostanzialmente scarna, a far emergere il dramma dell’uomo contemporaneo divorato dal dubbio. Il grande cubo metallico ideato per Walküre è abitato da simboli che appartengono non soltanto al racconto narrato sulla scena, ma più in generale alla storia dell’umanità. Il connubio Paolini-Wagner funziona come un meccanismo perfetto proprio perché quell’apparente raffreddamento dovuto all’occhio del pittore trasfigura tutto in un’armonia senza tempo. Il rigore astratto e concettuale dei labirinti mentali in cui ci conduce Giulio Paolini con il “suo” Wagner”, abita la geometria dell’impianto scenografico, generando un’atmosfera in cui – secondo le parole dell’artista “la scena è un eco… dove traspare e risuona il peso del tempo”.
“Non sono uno scenografo: magari lo fossi…” – sostiene Giulio Paolini –. “Lo dico perché la mia attività artistica spesso evoca la suggestione dell’universo teatrale. Qualche volta tuttavia ho davvero rivestito il ruolo scenografo per la rappresentazione di opere di autori giganteschi come Wagner. L’invito generoso ad esplorare questo mondo me lo fece Gioachino Lanza Tomasi, e per ben due volte mi trovai a realizzare le immagini sceniche delle Valchirie e del Parsifal. Esperienze preziose e indimenticabili. Che quel segno oggi esca dalle preziose mura del teatro e abiti lo spazio bianco di un luogo wagneriano per eccellenza da nuova vita a quell’eco in cui risuona il peso del tempo”.
La mostra “Giulio Paolini/Ravello” rappresenta perciò, non solo un omaggio a uno dei principali artisti italiani attivi sulla scena internazionale protagonista di primissimo piano di quell’intensa stagione creativa che si condensò negli anni e nei mesi a ridosso del 1968, ma al tempo stesso s’inscrive nel solco della tradizione del Ravello Festival volta a sviluppare e a promuovere la cultura artistica contemporanea a partire da un profondo legame con il territorio ravellese e con la sua vocazione musicale.
GIULIO PAOLINI
Giulio Paolini, che in gioventù ha studiato grafica, ha sempre portato con sé quell’impronta rigorosa, che lo spinge a sottrarre piuttosto che aggiungere. Un atteggiamento tipicamente progettuale, che l’artista di origini genovesi ha saputo trasferire anche all’Arte Povera, il movimento concepito da Germano Celant alla fine degli anni ’60 e spesso contraddistinto dal recupero dell’oggetto “sporco”, imperfetto, già vissuto, per sua definizione mutevole. Invece Paolini ha fornito del ‘poverismo’ una sua personale visione, vicinissima al minimalismo, all’asetticità dei colori neutri, il bianco su tutti. La sua è diventata così col tempo sempre più una sorta di opera aperta capace di alludere ad infinite esistenze possibili, frutto del rapporto tra le opere, lo spazio espositivo e il comportamento che al suo interno assume lo spettatore. Da qui nascono quadri o installazioni che ripropongono l’immagine di se stesse all’interno del luogo che le ospita (2200/H del 1965, Quattro immagini uguali del 1969) con l’ausilio della fotografia (Diaframma 8del 1965 e D867del 1967).
Un uso della tridimensionalità che non poteva non avvicinarlo al teatro e alla valorizzazione massima del rapporto fra spazio e tempo, a partire dalla collaborazione nata nel 1969 con il regista Carlo Quartucci. E dalla prosa all’Opera il passo è stato breve, come dimostrano due allestimenti scenografici wagneriani, realizzati entrambi per il San Carlo: Die Walküre nel 2005 e Parsifal nel 2007, entrambi diretti da Federico Tiezzi. Esperimenti interessanti perché capaci di sottrarre agli spettacoli la retorica tardo romantica del grande autore tedesco, e di regalargli al contrario una più sintetica e aggiornata visione di un universo mitologico quanto metafisico.
GIULIO PAOLINI/TEATRO SAN CARLO
Die Walküre di Richard Wagner Stagione 2004-2005 Napoli, Teatro di San Carlo
Direttore Jeffrey Tate; Regia Federico Tiezzi; Scene Giulio Paolini; Costumi Giovanna Buzzi; Disegno Luci Luigi Saccomandi.
Interpreti Christopher Ventris (Siegmund), Kristinn Sigmundsson (Hunding), Peteris Eglitis (Wotan), Nina Stemme (Sieglinde), Jane Casselman (Brünnhilde), Lioba Braun (Fricka), Sofia Mitropoulos (Gerhilde), Margherita Tomasi (Ortlinde), Margarete Joswig (Waltraute), Claudia Rüggeberg (Schwertleite), Inka Rinn (Helmwige), Gundula Schneider (Siegrune), Annette Jahns (Grimgerde), Julia Oesch (Rossweisse)
Parsifal di Richard Wagner Stagione 2007-2008 Napoli, Teatro di San Carlo
Direttore Asher Fisch; Regia Federico Tiezzi; Scene Giulio Paolini; Costumi Giovanna Buzzi; Disegno Luci Luigi Saccomandi
Interpreti Albert Dohmen (Amfortas), Markus Hollop (Titurel), Kristinne Sigmundsson (Gurnemanz), Klaus Florian Vogt (Parsifal), Pavlo Hunka (Klingsor), Lioba Braun (Kundry), Alexander Kaimbacher, Istvàn Kovács (Cavalieri del Gral) Silvia Weiss (Scudiero/Fanciulla incantatrice di Klingsor), Cornelia Entling, Martin Mühle, Nicola Panio (Scudieri), Annely Peebo (Fanciulla incantatrice di Klingsor/Voce dall’alto), Pia Marie Nilsson, Anna Korondi, Alexandra Wilson, Stefanie Iranyi (Fanciulle incantatrici di Klingsor).
RAVELLO FESTIVAL 66ª edizione
Danza / Formazione / Mostre / Tendenze e Nuovi Linguaggi, direzione artistica Laura Valente